mercoledì 19 novembre 2014

Assunzione

Prima di tutto una persona disabile deve affrontare il grande problema dell’accoglienza o meno della propria disabilità. Io però, a questo proposito, preferisco parlare di assunzione. Dopo un percorso di fede durato alcuni anni, ho deciso di assumere la mia condizione di deficit e la responsabilità della situazione in cui mi trovo, anche se non l’ho scelta io. Certamente in questo cammino sono stato aiutato dalla fede e dal fatto che i miei genitori mi avevano accolto veramente, al momento giusto.
Benché io sia portatore di un deficit fisico, non sono portatore di un deficit di accoglienza e se i portatori di deficit sono definiti «meno fortunati», io da questo punto di vista mi ritengo una persona fortunata.
In questa situazione ho potuto molte volte accogliere nuove persone. Devo dire che in generale preferisco socializzare e avere nuovi amici e amiche piuttosto che supporti tecnici o mezzi elettronici che mi mettano in condizione di fare il più possibile da solo. Così sono sempre stato in relazione con gruppi di amici con i quali svolgo attività comuni: con uno scrivo articoli, con un altro leggo libri, con un altro ancora guardo film e ognuno di loro è importante e diverso.
Ritengo sia un dono essere fatto così, lo vivo come una grazia, in questo sento l’amore concreto di Dio.
Attualmente ho due operatori stranieri, dei quali uno parla molto stentatamente l’italiano. Ho imparato ad accogliere anche questo tipo di deficit linguistico, che per me è molto difficile, perché quando il mio operatore non mi capisce, per me è un problema... Ma con il tempo abbiamo imparato ad accoglierci reciprocamente.

Il rapporto tra una persona disabile e il suo operatore è molto complesso, ha aspetti professionali ed altri quasi di intimità. Perciò funziona bene quando c’è una buona relazione personale e questo vuol dire accogliersi a vicenda. A entrambi conviene avere pazienza, adattarsi alle lentezze e alle difficoltà dell’altro. Il mestiere dell’operatore è molto particolare, non è soltanto un «badante»! Ed essere una «persona assistita» è pure una faccenda complessa, anche se non è riconosciuta come mestiere. Per una persona disabile, lasciarsi assistere è una operazione complessa. Dico tutte queste cose per far capire che il rapporto di accoglienza non è a senso unico.

4 commenti:

  1. Grazie Stefano, sono in sintonia con te perché anch'io per certi aspetti vivo questa esperienza dell'accoglienza ed è arricchente al massimo!

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  2. Ciao Stefano,
    leggendo questo post ho ricordato il tuo sguardo accogliente, poi ho ripreso l'immagine che hai scelto per questo blog e ho pensato che è davvero bella perché lo svela proprio, almeno per me che l'ho conosciuto nel passato.
    Seppure in poche parole hai reso bene anche la difficoltà dell'essere "assistiti" che è tutt'altro dell'essere badati. C'è questa dimensione di intimità necessaria che ribalta le carte del gioco, che mette in campo molto di più della persona che non un mero servizio.
    Ti ringrazio di queste parole che mi richiamano personalmente ad una dimensione di rapporto non solo mediata, un abbraccio
    Lucia

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  3. Cara Giovanna,
    grazie per il tuo commento, io penso che accogliersi significa arricchirsi a vicenda.

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  4. Cara Lucia,
    sono molto contento che la nostra amicizia sia rifiorita attraverso questo blog. Tu hai commentato tutti i miei post. Come dici tu essere assistiti non è un semplice essere badati, perché implica instaurare un rapporto di solidarietà, quasi di amicizia, ed è una solidarietà reciproca. Come ogni rapporto anche quello dell' assistenza comporta dei rischi, è una scommessa.

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