giovedì 24 dicembre 2015

La terapia dell'incarnazione

Nella medicina moderna è fondamentale tenere in considerazione il concetto di persona come unicum perché il malato non è un insieme di organi, ma è un uomo con una storia, con proprie scelte e priorità, che il medico deve rispettare e aiutare a mantenere e a sviluppare.
Quando, però, il concetto di persona come unicum viene travisato, è una vera e propria violenza fatta all’individuo.
Un esempio di questo si può riscontrare nella terapia per la riabilitazione delle persone cerebrolese, promossa dal medico americano Glenn Doman.
Questo metodo richiede al paziente di concentrarsi in maniera totalizzante sul proprio limite fisico, eseguendo esercizi molto impegnativi che occupano tutta la giornata e richiedono un grande sforzo mentale e fisico. Il problema di questa terapia è innanzitutto la quantità di tempo richiesta, che impedisce di svolgere altre attività e di avere altre relazioni, quindi di vivere.
La mentalità che sta dietro a questo metodo rischia di essere pericolosa, perché vorrebbe annientare i deficit della persona, ma inevitabilmente elimina anche il suo vissuto, la sua storia di diversità, quindi la sua originalità.
Fermo restando che la cura del proprio corpo è un dovere e un diritto della persona con deficit, non deve però diventare un’ossessione.
In questo caso si può vedere un’analogia con i disturbi alimentari come l’anoressia, in cui ci si concentra in modo ossessivo sul proprio corpo e sul rapporto con il cibo e con la bilancia. Il problema fondamentale, in entrambi i casi, è che si assolutizza una sola dimensione della persona senza tenere conto dell’unicum.
Il natale ci ricorda l’incarnazione del Figlio di Dio, il Suo farsi uomo in un corpo. Questo è la prima fonte della dignità e del rispetto che si deve a ogni corpo umano.
Il logos, incarnandosi, ci mostra che il corpo non è una prigione dell’anima, ma è la sua abitazione, di cui bisogna avere cura.


Buon Natale a tutti

giovedì 3 dicembre 2015

Centro e periferia?

Il viaggio del Papa in Africa considerato da tutti a rischio ha portato invece alla luce una realtà scomoda,ma ormai impossibile da nascondere.
Il centro del cristianesimo non è più l’Europa o il nord del mondo, ma sono l’America latina, l’Africa e l’Asia dove i cristiani sono in minoranza, ma proprio per questo hanno quell'entusiasmo e quella credibilità che in Europa sono andati persi.Non a caso c’è sempre più agitazione nella società cosiddetta cristiana o che ama definirsi ancora cristiana.
Il Papa parla sempre del centro e delle periferie, ma forse questi concetti non si adattano a una religione come quella cristiana. Il cristianesimo non è un imipero che si espande da un centro verso nuove periferie, ma è una comunità in cui l’unico centro è Cristo, che è presente in ogni persona credente e anche in quelle non credenti, anche se loro non lo sanno e non ci credono.

Da altra parte Gesù stesso è nato,vissuto ed è morto in periferia e il Suo messaggio si rivolge a uomini e donne di periferia, ma prima o poi siamo tutti uomini e donne di periferia così come possiamo diventare centro.