Letteralmente abile
significa “maneggevole”, è una parola che rimanda all’azione di tenere qualcosa
nella mano. Se la mano non è capace di tenere un oggetto che le scivola e cade,
oppure se lo tiene con troppa forza per poterlo usare efficacemente, diciamo
che è disabile.
Ora pensiamo invece alla capacità di “maneggiare” la
nostra vita. Che significa “Prendi la vita nelle tue mani”? Sentiamo che la
nostra presa è troppo debole, o forse troppo forte? La vita ci scivola via, o
la teniamo così stretta da soffocarla? Dal punto di vista della vita – che è il
punto di vista più ampio che possiamo avere – che
cosa sono l’abilità e la
disabilità?
In un certo senso l’homo
vivens è sempre disabile. L’uomo vivente, infatti, è anche l’uomo mortale,
tra le due c
ose non c’è differenza. Noi possiamo avere una bella presa, ma un
certo scivolare via, da parte della vita, è inevitabile. Non a caso le persone
che invecchiano accumulano acciacchi che sono piccole o grandi disabilità.
Invecchiare è considerato più “normale” che essere disabili, ma la vecchiaia è
molto simile alla disabilità. Nella misura in cui l’anziano perde autonomia,
diciamo che non ha più in mano il controllo della sua vita, o anche che gli
resta poco da vivere.
Questo scivolarci della vita tra le mani è una
“disabilità normale”. È una disabilità perché non riusciamo a tenere in mano
questo “oggetto”. Ed è normale perché è così per tutti.
Un esempio di questa “disabilità normale” lo troviamo ne Il
dialogo della Divina provvidenza:
« Io distribuisco le virtù
tanto differentemente, che non do tutto ad
ognuno, ma a chi l’una a
chi l’altra. [...] A chi darò principalmente la
carità, a chi la
giustizia, a chi l’umiltà, a chi una fede viva. [...] E così
ho dato molti doni e grazie
di virtù, spirituali e temporali, con tale diversità,
che non tutto ho
comunicato ad una sola persona, affinché voi
foste costretti ad usare
carità l’uno con l’altro. [...] Io volli che l’uno
avesse bisogno
dell’altro e tutti fossero miei ministri nel dispensare le
grazie e i doni da me
ricevuti ».
(Santa Caterina da
Siena, Il dialogo della Divina provvidenza,
7, G. Cavallini
Roma 1995, p. 23-24.)
La cosa più importante che evidenzia Santa Caterina è che
Dio ha voluto la diversità e la dipendenza dall’altro. Avere bisogno non deve
essere sentito come una disgrazia, ma come arricchimento reciproco.
Dio considera normale questa dipendenza dagli altri,
Santa Caterina infatti sottolinea proprio che Dio ha voluto questa
caratteristica per costringere l’uomo a relazionarsi con il suo prossimo.
Questo bisogno è l’aspetto che fa più paura nella disabilità.
Grazie Stefano per la rifleasione. Nella mia esperienza la malattia, come la vecchiaia, sono esprienze di disabilità. A volte la disabilità ha origine in una malattia ma vorrei considerare quella disabilità che non comporta un orizzonte di ripristino di "salute". La differenza sta li mi sembra. Il malato può aspirare ad una risoluzione intanto che sperimenta questo viaggio umano nella disabilità. L'anziano non ha altra prospettiva che incrementare la propria disabilità. Forse c'è un compito x i disabili in questo: aiutare chi si ammala e chi invecchia ad accogliere e vivere ancora in pienezza queste nuove realtà.
RispondiEliminaCiao
lucia
Aggiungo che al posto di compito vorrei aver scritto risorsa. Riaorsa per me non compito per me.
Eliminaciao
Lu
Cara Lucia,
Eliminagrazie per il tuo commento, anche io penso che il compito, o la risorsa, o meglio, io la chiamerei la missione per noi persone disabili è quella che dici tu :"aiutare chi si ammala e chi invecchia ad accogliere e vivere ancora in pienezza queste nuove realtà". Ma io direi aiutare tutti ad accogliere le proprie disabilità. Ciao Stefano.
Per me accogliere la disabilità significa metterla a frutto,quindi può diventare un talento. Può sembrare un paradosso o una occasione di infinite possibilità di bene e di essere noi realizzati.
EliminaVolevo aggiungere al commento precedente che se questo talento non viene usato, si disperde nel vuoto!
RispondiEliminaCaro Anonimo,
RispondiEliminaper me accogliere significa prima di tutto aprire le porte e imparare a conoscere chi si accoglie, fartelo amico e soltanto in un secondo tempo pensare a quello che puoi fare con lui. Ciò vale sia per le persone che per le realtà come la disabilità. Non si può pensare di arrivare al frutto se prima non si è piantato il seme.
Per me si può accogliere solamente se si è capaci di dare e di darsi al' altro.
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